Sono passati 4 mesi dalle prime notizie che arrivavano dall’Oriente su un nuovo misterioso ‘virus cinese’ che stava iniziando a contagiare la popolazione e a preoccupare le autorità della provincia dell’Hubei, capitale Wuhan. Quattro mesi nei quali l’Italia si è aggrappata sempre più forte alle parole di virologi ed epidemiologi, categoria di cui la stragande maggioranza degli italiani ignorava pure l’esistenza. In un primo tempo per capire cosa fosse questa minaccia ancora lontana e poi, una volta che l’epidemia avanzava veloce verso la pandemia, per definirne la pericolosità.
Centoventi giorni in cui gli esperti, oggi più che mai ‘registi’ nella progettazione della cosiddetta ‘fase 2’ della crisi Covid-19, hanno assunto posizioni non sempre convergenti, spesso in contrasto con la politica, in accordo e in disaccordo sulle scelte degli esecutivi degli altri Paesi. Dopo una vita nell’ombra, ecco la ribalta mediatica, interviste su interviste, dall’alba al tramonto, giornali e televisioni, dichiarazioni a raffica sui social, un carico di responsabilità enorme che ha diviso l’opinione pubblica e diviso la politica che a un certo punto è sembrata farsi da parte. Parole rassicuranti e altre meno, disquisizioni scientifiche inattaccabili e scivoloni di vario tipo, incluse battute infelici sulla Roma o la Lazio, su Trump e via discorrendo.